Il monte San Vicino

Una piccola escursione su una piccola montagna. Unico motivo: l'affetto che ho verso di lei. Poi una volta su ho scoperto molto di più.


Dovevo saldare un debito antico con la montagna che ha dato il là alle mie scorribande appenniniche, nei ricordi antichi, da adolescente o poco più, sono già stato sulla sua cima ma di questa escursione, oggi, non ho nessuna immagine ben definita; le immagini che mi frullano in testa sono talmente confuse e offuscate da confondersi forse e probabilmente con chissà quale altra realtà. Pratoni immensi disseminati di “isole” di alberi, una prateria ripida che sale verso la cima e la vetta … quella non c’è nei miei ricordi. Vi capita mai di desiderare tanto una cosa, di fantasticarla e progettarla che alla fine vi sembra di averla vissuta veramente senza averla mai posseduta? Credo che fossi davvero in una di queste situazioni paradossali ed era giusto mettere a tacere dubbi e “sensi di colpe”. Sto parlando del monte San Vicino, per una manciata di metri non raggiunge i 1500, sul confine tra le provincie di Macerata e Ancona, fa parte della prima delle tante “cordigliere” che come onde successive formano la struttura degli Appennini sul confine tra Umbria e Marche; più per demerito delle montagne attigue che per merito suo si erge così tanto da sembrare un montagnone. Ero ragazzo, scuole medie, allora si viaggiava in “corriera”, nella piatta tra il mio paese e Falconara Marittima, dove frequentavo le scuole medie, per non pensare alla scuola che ti attendeva potevi sognare, per costruirci fughe impossibili, col mare da una parte e con la campagna dall’altra. Oltre la campagna, a chiudere l’orizzonte verso Ovest, il profilo degli Appennini, quando nebbia e nuvole in inverno e la tipica caligine adriatica in estate ti permettevano di vederli. Dai Sibillini verso Nord gli Appennini si abbassano prima di rialzarsi nel Tosco Emiliano, il mio orizzonte era composto da poco più che colline, la quota 1000 la si può considerare una buona media, va da se che il questo mare di basse elevazioni il quasi 1500 del San Vicino sembravano una elevazione monumentale; oltre spiccare era anche il suo profilo quasi trapezoidale perfetto ad attirare la mia attenzione, insomma ero sempre appiccicato al finestrino della corriera a cercarlo. Credo che nacque da queste prime romantiche osservazioni del territorio la passione per le montagne, allora esisteva lui, il San Vicino, nel mio immaginario quasi un K2, d’altra parte i Sibillini e tutte le altre nobiltà appenniniche erano a me semplicemente sconosciute. Anche ora che torno spesso nella mia terra per affetto, quando scorro la fettuccia autostradale costiera o quando taglio la penisola di traverso mi accorgo di cercare ancora quel profilo inconfondibile. Quando passo la gola del Furlo per raggiungere la Flaminia, o quando sono nella piana di Fabriano ho anche trovato il modo di riconoscere la sua vetta, insomma dopo aver salito tutti i 2000 dell’Appennino mi è sembrato stupido avere il dubbio di non essere mai stato in cima alla “mia”, se pur piccola, montagna; glielo lo dovevo in fondo. Un po' fuori mano, sempre alla ricerca del momento buono, l’ultimo anno è passato in continue programmazioni, nei week end che ho passato a far visita a mia madre mi è sempre sembrato improprio togliere del tempo al genitore per una montagna, anche da Ascoli l’avvicinamento non è dei più comodi, le strade sono molto tortuose; per coronare il progetto continuavo a pensare ad un fine settimana in zona dal sapore eno-gastronomico cui aggiungere la montagna (intorno al mio monte nascono le vigne più importanti del Verdicchio); c’è sempre stato però qualcosa di più importante che si è anteposto. L’occasione è arrivata in questo lungo periodo natalizio, passerò la festa nelle Marche da mia madre, sono solo a decidere che fare, Marina è nella sua lontana Australia, mi ha sfiorato l’idea di una alzataccia vecchio stile Aria Sottile, direzione Ancona con interruzione del viaggio per una veloce salita al monte. Si poteva fare, unica incognita il meteo e quando ho visto che anche lui stava preparando una giornata favolosa, quasi avesse intuito il mio programma, ho deciso di farmi il regalo, ho mollato gli ormeggi e sono salpato per quella che mi piace definire una escursione nostalgica. Sveglia alle 4 e 30, come sempre non mi va di togliere tempo alle persone che amo per un mio puntiglio, alla partenza una stellata micidiale prometteva una giornata sfavillante, -3 la temperatura quando mi sono messo in macchina; esisteva l’incognita neve, chissà se riuscivo ad avvicinarmi alla montagna causa le recenti nevicate e le basse temperature del versante adriatico? Era l’unica incognita, ma in qualche maniera, magari con un avvicinamento più lungo questa volta partivo per salirci davvero. Traffico nullo a quell’ora, la strada conosciuta a memoria, le temperature che ballano intorno allo zero, il cruscotto lampeggia e mi avvisa ogni tanto di probabile presenza di ghiaccio, scelgo di andare piano, Terni, Spoleto, Foligno, dopo Nocera Umbra penso sia il caso di utilizzare Google Maps per non sbagliare avvicinamento; uscita Fabriano Est, ormai è giorno fatto, quando arrivo a Cerreto d’Esi poco sopra la conca di Fabriano intuisco il profilo del San Vicino, da questo versante quasi una piramide poco pronunciata sopra una dorsale boscosa più bassa e ad evidenziarlo la sagoma della croce in vetta sopra il cappuccio sommitale innevato. La temperatura scende a -7, le strade sono lucide, poco oltre il paese le campagne sono ancora bianche dell’ultima nevicata, comincio a dubitare che si riesca ad arrivare a Pian dell’Elmo da dove vorrei partire. Pian dell’Elmo è intorno a quota 1000, ne uscirebbe una escursione con poco dislivello, forse nemmeno di 500 mt. ma come dicevo, oggi contava solo mettere i piedi sopra la mia montagna. Il navigatore sceglie la strada per me, è configurato sul percorso più breve, passo certi piccoli borghi che forse oggi non riuscirei a ritrovare nemmeno sulla carta; mi alzo nemmeno troppo lentamente aggirando quella che certamente è la vetta del mio monte, lo guardo dal finestrino come se dovessi corteggiarlo prima di averlo, proprio come si fa con una donna. Le campagne intorno seno sempre più bianche e più ghiacciate, sempre più frequenti sono anche i tratti delle stradine secondarie, di campagna, che rimaste in ombra hanno ancora un sottile strado di neve a terra, ovviamente ghiacciato. Comincio a temere di non poter arrivare a destinazione secondo progetto, forse dovrei girare intorno al monte e salire a Pian dell’Elmo da Sud Est, dove il sole certamente avrà scaldato più a lungo ma la lascio come opzione ultima. Scorro su stradine piccole, asfaltate perfettamente nonostante periferiche e secondarie, ogni tanto agli incroci ci sono delle edicole in mattoncini, ovvio siamo nelle Marche, su una colgo una data, 1927; querce, alcune maestose, le più con circonferenze del tronco di più di un metro e mezzo ed oltre delimitano i bordi delle strade, le nebbie che si stanno dissolvendo nei fondo valle portano a galla una moltitudine di boscose isole, le montagne intorno che formano un enorme catino sono incappucciate di neve fresca, i raggi del sole ancora taglienti del nuovo giorno colorano di pastello anche l’aria, borghi sulle dorsali delle colline, cittadine più grandi a fondo valle, sono quadri ipnotici di un grande paesaggio. Giro un tornante e si scoprono le montagne verso Nord, riconosco il monte Cucco quella ancora più a Nord intuisco sia il Catria ma mi servirebbe la carta per averne conferma. Mi alzo ancora e dietro ad un tornante, dopo aver scavallato una dorsale, stavolta a Sud, si apre un orizzonte tormentato e bianco, è la sorpresa che mi impedisce di realizzare immediatamente che si tratta dei Sibillini, sembrano davvero a due passi. Sento ancora l’emozione di quel momento, quelle colline e quelle montagne distano un’ora da casa mia ma mi sentivo a casa, tutto era di un bello da trafiggere l’anima, la campagna, i filari delle viti ora spoglie, il mio monte li sopra, ed ora i Sibillini, bianchi e da questa prospettiva nuova quasi irriconoscibili. Era un caso che in questa lunga vigilia di Natale, in questo momento propizio tutti gli elementi si fossero disposti per regalarmi una giornata che stava diventando di minuto in minuto più bella? Ero qui per ragioni romantiche e un tocco di romanticismo ulteriore mi faceva pensare che non era un caso, quella montagna che stavo raggiungendo aveva deciso di avere un legame particolare con me, rischiavo una frenesia da innamoramento fanatico, ma mi piaceva pensarlo e così ho deciso di vivere la giornata. Intuisco più o meno il percorso che farà la strada, ogni tanto la segnaletica avvisa di piccoli borghi di cui per me l’unica cosa certa è che sono nella direzione giusta, per fortuna ci pensa Google Maps a guidarmi; quando la voce impersonale femminile annuncia una curva a cinquecento metri si “dimentica” di dire di fare attenzione alla neve, cambia di colpo lo scenario e sono a solo a quota 700mt. Curva a gomito verso sinistra, un bel cartello avvisa che sono su una strada non soggetta ad azione degli spartineve, brutto presagio, dopo nemmeno un chilometro, come a confermarlo, iniziano i tratti ancora innevati, battuti da un traffico precedente ed ovviamente ben ghiacciati. Prima solo nelle curve rivolte a Nord e rimaste al buio, poi sempre più frequentemente la strada assume ben presto un aspetto tipicamente stagionale. Benedette gomme invernali, salgo piano senza patemi, per fortuna non incontro traffico che viene dalla parte opposta, posso scegliere anche con le traiettorie ideali; intorno si aprono panorami sempre più vasti ora verso Sud ora verso Nord ma è meglio non distrarsi e non ne colgo i dettagli. Intorno a quota 1100mt la strada si appiana, ghiaccio si sostituisce alla neve compatta, intravedo il profilo di vetta con la croce prominente che svetta sulla mia montagna e penso che potrei anche accontentarmi, d’altra parte al poco dislivello che dovrò salire posso permettermi di aggiungere un avvicinamento più lungo, avrò tempo per tutto. Al primo slargo parcheggio, giro l’auto verso la via del ritorno a mi preparo, sono su una ampia piana che sulla carta Kompas (Cagli, Fabriano e San Severino Marche) prende il nome di Le Serre, è baciata dal sole anche se ancora obliquo, il paesaggio richiama una serenità antica e le temperature di solo un’ora prima sembrano solo il prodotto di una fantasia o di un incubo notturno. La sagoma del San Vicino è verso Nord dietro un promontorio boscoso che dovrebbe rispondere al nome di monte San Vicinello, non conosco bene il percorso e per il primo tratto penso sia meglio avvicinarmi continuando a seguire la strada; un chilometro e mezzo circa di falso piano, si supera un rifugio sulla sinistra e poi un tratto rettilineo in discesa introduce alle pendici del monte. Un’apertura dello steccato nel mezzo della piana accanto ad un pannello descrittivo della riserva ed un paio di bandierine del CAI introducono il sentiero, la direzione fino al bosco la danno delle tracce di calpestio dei giorni precedenti. Mi trovo ai Prati del San Vicino, fino alla croce sono poco più di trecento i metri di dislivello e c’è davvero poco da raccontare del tracciato: superata la piana si entra nel bosco di faggi, un primo lungo traverso sale verso Nord, poi un tratto più ripido di pochi tornanti fa salire di quota e di nuovo verso Nord fino a virare in direzione Sud per un altro lungo traverso. La traccia è ben segnata da un calpestio dei giorni precedenti, in alcuni tratti si è quasi dentro una bassa trincea, sarà una montagnetta ma in quanto a frequentazione non è seconda a nessuno. Il secondo traverso finisce con aggirare e sporgere dalla dorsale Sud del monte, l’affaccio è d’impatto, dal mare sfilano tutte le colline marchigiane e si perdono e confondono nelle nebbie che si stanno dissolvendo, di seguito si riconoscono il monte dell’Ascensione con le sue tipiche gobbe, la Laga che perde la sua lunga dorsale e appare come un unico singolo monte, accanto i Sibillini, azzurri come da Leopardiana memoria e colmi di neve, che al contrario della Laga appaiono con una struttura larga, enorme, una moltitudine di vette e creste, di canali e pagine innevate luccicanti, sopra il profilo dei Sibillini sporge l’apice di una sagoma inconfondibile, è il Corno Grande. Aggirando la dorsale Sud si ripiega ancora verso Nord, la pendenza si attenua e il fianco scosceso diventa ampia cupola sommitale, la croce di vetta spunta nel cielo azzurro rimane da seguire il calpestio per pochi minuti e si è in cima. La croce, enorme, è un traliccio di sei o sette metri, forse la più grande croce degli Appennini che io conosca, lo ribadisco anche se amo questo monte, ogni croce è inutile in cima a tutte le montagne, questa è addirittura sproporzionata. Il punto più alto, anche se di pochi metri è spostato di una cinquantina di metri verso Est, lo raggiungo superando grossi e soffici cumuli nevosi, sporge su una parete scoscesa e si affaccia verso Est. Le radure di Pian dell’Elmo sono li sotto quasi verticali, poco più in là, in direzione Est, verso il mare Adriatico, la strana forma a tridente rovesciato del lago di Cingoli e in fondo a confondersi col mare e quasi avvolto dalle nebbie la scura mole del monte Conero. Mi ha davvero aspettato il San Vicino, tante volte ho cercato di metterlo in programma e alla fine ci sono sopra in una giornata luminosa e stupenda; Sibillini, Corno Grande, Laga, l’Ascensione, il mare, il Conero, e verso Nord Ovest il Catria e il Cucco. Mi sento davvero a casa sono felicissimo, sono in cima alla mia montagna, quella delle mie fantasie di poco più che bambino, in qualche maniera mi emoziono, mi ritrovo a rivivere le prime emozioni delle prime “conquiste”. Familiarizzo anche con altri escursionisti, parliamo dei danni del terremoto dei paesi la sotto, parliamo di vino, del Verdicchio e mi fanno ricordare che sono lì anche per quello, mi consigliano un’enoteca a Matelica, ci salutiamo presto perché riprendono velocemente la discesa. Io mi trattengo un po', scatto foto, mi avvicino al bosco poco sotto la cima, mi attira la neve ghiacciata che ricama i sottili rami dei faggi, altre foto. Poi arriva anche per me il tempo di scendere, uno sguardo indietro, la promessa di tornare per portarci Marina e condividere con lei il mio intimo amore per questa montagna e il rientro è una volata. Mi aspetta l’enoteca, devo arrivarci prima dell’una, la discesa è veloce non poteva che essere così trattandosi di poca cosa. Raggiungo l’auto ma non mi faccio prendere dalla fretta, mi voglio godere il paesaggio, mi fermo lungo la strada, colgo delle immagini di alcuni paesaggi della campagna da evocare poesia, ovviamente faccio ancora foto. Raggiungo Matelica, splendida cittadina, l’enoteca è chiusa, chiamo il numero che è affisso sulla porta, è proprio chiusa mi dice chi risponde dall’altra parte nel senso che si sono trasferiti ad Esanatoglia, non hanno più il vino della cantina che cerco ma hanno altre cantine interessanti, mi invitano a visitarli, perché no mi dico, un motivo per conoscere meglio le mie Marche. Mi porterò a casa il vino, conoscerò un altro paese e mi innamorerò di altri scorci della mia splendida regione. Romantica, è stata una giornata di montagna romantica, di quelle che ti riappacificano col tempo oltre che con la montagna stessa troppe volte ormai diventata solamente terreno di illusorie e false prestazioni sportive.